E alle 20.30 si salta in macchina per volare nella suburbia, la parte meno "nobile" della nostra città, dove si concentrano agglomerati di capannoni industriali, brulicanti di rumori metallici e di gente operosa, che fa venir voglia solo di scappare via. A quell'ora tutto tace, vivaddio, e la nostra presenza in questo posto infernale è giustificata solo da quel fiore nato nel cemento che è il Teatro Spazio 47, Anche stasera valeva la pena lottare contro la stanchezza, l'ora tarda, il reality di grido in prima serata. E' la fame, l'ingordigia di teatro, la crisi d'astinenza che si ripresenta puntuale dopo poche settimane. Una fame irresistibile, impossibile da contrastare, e allora si va a vedere uno spettacolo caldamente raccomandato. Stasera è stata la volta di un monologo, che fa paura solo a pensarci, ma in cuor tuo sai già che non finirai mai di stupirti. E quell'ora e mezza vola via. Un attore, due sedie, una lampadina. Scarna scenografia, riempita da un corpo in azione. Il corpo è quello di Francesco Lande, che ha scritto e interpretato la storia dell'Agro Pontino con una delicatezza, un lirismo, che lascia incantati. Un testo densissimo, ricco di colori, suoni, alti e bassi, in un tragicomico dipanarsi di situazioni raccontate con crudezza, con aderenza a una realtà sfrontata che ribalta in un sol colpo tutti i luoghi comuni e le nostre superficiali nozioni su quello che è stato un evento epocale nel trentennio. Uomini, donne, bambini, nessuno è stato risparmiato nella narrazione, ciascuno è stato disegnato con dovizia di particolari, a tutti è stata data dignità nell'essere protagonisti della fondazione. Lacrime, sudore,fatica, guerre perse contro la malaria, gaiezza, dolore, povertà. A tutto questo noi dobbiamo l'essere qui, oggi.
Grazie a Francesco Lande, che tiene a galla nella nostra memoria la storia di ieri, raccontata oggi con originalità e con una tenerezza inaspettata. E grazie a Spazio 47, per la cura nella scelta.
Roberta Angeloni
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