venerdì 7 gennaio 2011

Ben Hur


Ben Hur: la condizione dell’immigrato.
La rassegna teatrale apriliana ha inaugurato la sua stagione con una commedia moderna che con il Kolossal cinematografico ha un legame sottile e non di immediata comprensione.
Sergio, per sbarcare il lunario, tenta di tirare su qualche euro cercando di farsi fotografare dai turisti vestito da centurione romano, sotto al Colosseo, mentre sua sorella Maria si occupa di chat erotiche telefoniche. I due vivono insieme, dividendo casa, solitudine e povertà, quando nella loro miserrima vita piomba Milan, un ingegnere bielorusso tuttologo e tuttofare, ma come immigrato clandestino bisognoso di lavorare viene all’occorrenza sfruttato da Sergio, che lo coinvolge e lo costringe a lavorare al suo posto. Milan costruisce una biga da lui ideata per attirare i turisti, Milan va a lavorare come imbianchino per conto di Sergio, Milan guadagna e porta a casa molti soldi. La vita di Sergio e Maria comincia a cambiare, Maria si innamora di Milan ma non sopporta che il fratello viva alle sue spalle. L’inaspettata spietatezza della donna però, che scoprirà che Milan ha moglie e quattro figli in Bielorussia, la spingerà a tradirlo e ad avvertire la polizia.
La comicità e la tragicità attraversano in ogni passo i tre protagonisti, che nell’apparente leggerezza del testo, trapelano il dramma di chi vive sull’orlo dell’abisso, tra un gratta e vinci e la rassegnazione della propria condizione di vite fallite. Paradossalmente l’unico personaggio simbolo di speranza è Milan, Il clandestino, pronto a ogni genere di sacrificio per affrontare le difficoltà di una vita condotta ai margini della sopravvivenza. Il tema dell’immigrazione è molto caro all’autore, che pur non risparmiandosi in battute e ironia, gioca sui luoghi comuni di coloro che incontrano la diversità e, a causa della grettezza e dell’ignoranza, credono di trovarsi accanto un essere inferiore, come intelligenza e grado culturale, quando invece spesso, nella vita reale, risulta essere il contrario.
La formula del tragicomico nella commedia popolare crea il bilico tra la sensazione di aver trascorso una serata all’insegna della risata facile sulla patina di surrealtà, e il messaggio profondo che, per chi lo sa cogliere, arriva forte e chiaro, lasciando momenti di importanti riflessioni.
Sergio e Maria rappresentano a tutto tondo la grettezza di una Società ancora arretrata alle prese con i problemi dell’integrazione, con la mancanza totale di cultura nei confronti di popolazioni così ricche umanamente e culturalmente, di cui ancora oggi, e ancora per molto forse, rifiutiamo il coinvolgimento.
L’autore, Gianni Clementi, ha colto nel pieno, a cominciare dal titolo, la condizione del clandestino, il Ben Hur contemporaneo, lo schiavo per eccellenza. Chi considera la schiavitù una condizione che non ci appartiene, è in errore.
Colf, badanti, lavoratori della terra, manovali, guardiani, vengono trattati, nelle nostre case calde con il Mercedes parcheggiato in garage, persone senza dignità, relegate a un ruolo di moderna schiavitù. Il rifiuto di entrare nel loro mondo affettivo, nella loro cultura, è il sintomo di chiusura che ha il sapore dell’arretratezza cronica, supportata dalla condizione di clandestinità che ci fa sentire in diritto di disporre del prossimo come vogliamo.
Ma al di là di carte e burocrazia, è la sensibilità che dovrebbe muovere un mondo così incatenato a pregiudizi fasulli, quella sensibilità che il teatro di Clementi ha voluto smuovere, con sottile e decisa ironia.
Molto bravi i protagonisti: Nicola Pistoia, nei panni di Sergio, il “Centurione”; Paolo Triestino, “L’immigrato Milan”, Elisabetta De Vito, “ Maria”.
Roberta Angeloni

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